Un senso dolce di morte mi assale al cospetto di molti tuoi lavori. Sarà per le tinte adoperate, per il modo in cui le gradazioni di nero e grigio invadono, anche quando non ci sono, il dipinto, come ramificazioni invisibili pronte a inglobare tutto, finanche lo spettatore. Claustrofobia. La tua pittura m’inquieta parecchio, regalandomi scosse improvvise e riaccendendo lampi di Memoria, musa alla quale credo fermamente sia votato anche tu. Leggendo sul tuo sito web alcuni tuoi scritti, ho quadrato il cerchio. C’è molto di letterario, come del resto lo è il tuo approccio, fatto in primis di parole, questi mondi capaci di tradurre il pensiero astratto prima ancora che il gesto e l’intenzione lo rendano visibile. Scrittura, pittura, sempre di espressione si tratta, ma l’aura di cui si ammantano le tue opere è di chiara matrice letteraria. O almeno, io la vedo così, come se avessi un’inclinazione a indagare la realtà passo dopo passo, nel quotidiano, pensando fino a corrodersi, non per puro esercizio, ma per indole. E ne deriva, quasi inevitabilmente, il sodalizio con Melancolia, ninfa gentile che sceglie, ormai l’ho capito, i propri adepti fin dalla culla. Cos’altro potresti fare se non assecondare il volere di queste divinità? La terra dalla quale entrambi proveniamo è piena di spiriti, affollata di dèi e mostri che ci parlano ancora a distanza di millenni. Raccontare è quel che spesso siamo chiamati a fare, come aedi. E i tuoi racconti in immagini e parole riescono a echeggiare diffusi, come un sasso nell’acqua che spande concentriche increspature.
Ciò che scrivi mi accende e sottolinea riflessioni che oramai sono diventate la mia seconda pelle. Pelle che col tempo ho imparato a esfoliare, per necessità e virtù, con l’idea di rifondare su quel corpo significante che è il mondo la promessa di una visione ulteriore, oltre. Naturalmente, non so se ci riesco, data anche la mia incoerenza stilistica o pluralità di prospettive, consapevole di quel limite di natura e di vita, oltre che di quello culturale, di cui per primo sono portatore e testimone. È forse questo che le mie pitture trattengono e che tu definisci inquietante?
Vivo la scrittura e la pittura in modo conflittuale; sono soggetto a pressioni e a innamoramenti continui, a sollecitazioni di fuoco e di gelo che mi investono interamente e mi attraversano da parte a parte, lasciando talvolta segni e parole che so accogliere e restituire nel lampo circoscritto di un’immagine.
Del resto, l’espressione artistica è già un linguaggio, sta al fruitore un’interpretazione, una lettura, l’esperienza. Ognuno di noi, quando produce qualcosa e la mette al mondo, si pone già in dialogo con la realtà circostante. Credo che tu ci riesca bene a rifondare una visione, come dici. Mi “avvicino” con maggiore interesse, poiché esercitano su di me un fascino irresistibile, alle opere che definisco inquietanti, contenenti un quid tormentato, irrequieto, oscuro e allontanato da molti perché conturbante. Per questo sono legatissimo al mito greco, perché ha raccontato e continua a raccontare, attraverso alcuni espedienti e allegorie, la realtà così com’è, nella sua terribile e magnifica verità.
Come ti dicevo, vivo la pittura in modo conflittuale, sempre, anche quando le forme sembrano pacificate e qualche volta – raramente – luminose. Una irrequietezza che si fa costante agone con ciò che svicola dal pensiero: quasi sempre questo mi porta a esplorare vie nuove, trovandomi a dover rialfabetizzare la lingua, i gesti e i segni. Diversamente, butto ciò che ho fatto.
A tal proposito, non è raro che mi capiti di utilizzare strumenti insoliti alla pittura stessa, maneggiando supporti e materiali di cui conosco poco o quasi nulla le risposte. Con ciò voglio dire che non do mai nulla per scontato, consapevole che l’atto creativo rimane un’incognita che riempie di attese il nostro cercare-sperare. Per esempio, mi commuovono le grandi opere della storia che portano con sé, sulla loro pelle, dinamiche a cui credo di sottostare anch’io, trovando in esse umori, ripensamenti, cadute e virtù che rendono la pittura un organismo nudo e pulsante, un corpo vivo e inesauribile, fatto di deragliamenti e di gestazioni, di affondi e continue convergenze con il mistero delle cose, l’esistenza tutta.