Colloquio con Ignazio Cusimano Schifano

di Luca Ferracane

È solo dedicando il giusto tempo a una qualsiasi opera d’arte che si può entrare in contatto con essa e dunque col proprio artefice. L’arte del nostro tempo richiede pazienza, è vero, esige un maggiore sforzo, da noi contemporanei, per essere accolta. È vero inoltre che uno stato d’animo può cambiare radicalmente la percezione di ogni opera. Sarà che io sono naturalmente di indole malinconica e riesco a trovare il “nero” anche dove, forse, non c’è, ma credo proprio che nel tuo lavoro alberghi una bella dose d’inquietudine. Mi intriga poi, particolarmente, il disegno, il tratto di grafite che si divide la tela, in certe opere, col colore, che sembra lottare per non essere coperto dal velo pittorico. Anche questo, mi pare, essere un segno d’inquietudine, il primo abbozzo, il concetto, l’impeto dell’idea che nella matita trova il proprio medium d’espressione, prima di essere cesellato e occultato. Tu invece spesso fai in modo che traspaia, che rimanga lì, vivo, a respirare. E in questo modo, il mio occhio, anche quando si ritrova di fronte ai lavori in cui il colore pare iniziare a vorticare, riesce ad avvertire i tuoi dipinti pulsare. 

Credo che tu ci abbia azzeccato in pieno. L’inquietudine mi appartiene, fa parte del mio carattere e quindi del mio operato. Non sono mai riuscito a spiegarmi davvero cosa sia questo malessere interiore, forse c’è un legame col senso d’incapacità che provo nel fare qualcosa che mi soddisfi in pieno. Un’insoddisfazione continua contrapposta a brevi momenti di lucidità e, soprattutto, serenità. Direi che, attraverso l’arte, la pittura, si generino dei “tentativi di esistenza”, ogni giorno, tutti i giorni dell’anno ci provo. Chissà perché è così importante per me? A volte penso di smettere di fare il pittore ma poi, riflettendoci, mi assale una grande paura. Ho paura di smettere. Durante i miei processi pittorici mi è capitato di essere attratto da Dubuffet e Appel, e da chi come me ha tentato di trarre forme dall’informe e viceversa. Alla fine, però, credo poco importi cosa si faccia. Purtroppo, o per fortuna, si opera per necessità spirituale.

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